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Purgatorio, Canto I: testo, analisi e spiegazione

Analisi e testo del primo Canto del Purgatorio

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    Divina Commedia
    -
    Purgatorio, Canto I




    CITAZIONE
    Comincia la seconda parte overo cantica de la Comedia di Dante Allaghieri di Firenze, ne la quale parte si purgano li commessi peccati e vizi de’ quali l’uomo è confesso e pentuto con animo di sodisfazione; e contiene XXXIII canti. Qui sono quelli che sperano di venire quando che sia a le beate genti.



    Per correr miglior acque alza le vele
    omai la navicella del mio ingegno,
    che lascia dietro a sé mar sì crudele; 3

    e canterò di quel secondo regno
    dove l’umano spirito si purga
    e di salire al ciel diventa degno. 6

    Ma qui la morta poesì resurga,
    o sante Muse, poi che vostro sono;
    e qui Calïopè alquanto surga, 9

    seguitando il mio canto con quel suono
    di cui le Piche misere sentiro
    lo colpo tal, che disperar perdono. 12

    Dolce color d’orïental zaffiro,
    che s’accoglieva nel sereno aspetto
    del mezzo, puro infino al primo giro, 15

    a li occhi miei ricominciò diletto,
    tosto ch’io usci’ fuor de l’aura morta
    che m’avea contristati li occhi e ’l petto. 18

    Lo bel pianeto che d’amar conforta
    faceva tutto rider l’orïente,
    velando i Pesci ch’erano in sua scorta. 21

    I’ mi volsi a man destra, e puosi mente
    a l’altro polo, e vidi quattro stelle
    non viste mai fuor ch’a la prima gente. 24

    Goder pareva ’l ciel di lor fiammelle:
    oh settentrïonal vedovo sito,
    poi che privato se’ di mirar quelle! 27

    Com’io da loro sguardo fui partito,
    un poco me volgendo a l’altro polo,
    là onde ’l Carro già era sparito, 30

    vidi presso di me un veglio solo,
    degno di tanta reverenza in vista,
    che più non dee a padre alcun figliuolo. 33

    Lunga la barba e di pel bianco mista
    portava, a’ suoi capelli simigliante,
    de’ quai cadeva al petto doppia lista. 36

    Li raggi de le quattro luci sante
    fregiavan sì la sua faccia di lume,
    ch’i’ ’l vedea come ’l sol fosse davante. 39

    "Chi siete voi che contro al cieco fiume
    fuggita avete la pregione etterna?",
    diss’el, movendo quelle oneste piume. 42

    "Chi v’ ha guidati, o che vi fu lucerna,
    uscendo fuor de la profonda notte
    che sempre nera fa la valle inferna? 45

    Son le leggi d’abisso così rotte?
    o è mutato in ciel novo consiglio,
    che, dannati, venite a le mie grotte?". 48

    Lo duca mio allor mi diè di piglio,
    e con parole e con mani e con cenni
    reverenti mi fé le gambe e ’l ciglio. 51

    Poscia rispuose lui: "Da me non venni:
    donna scese del ciel, per li cui prieghi
    de la mia compagnia costui sovvenni. 54

    Ma da ch’è tuo voler che più si spieghi
    di nostra condizion com’ell’è vera,
    esser non puote il mio che a te si nieghi. 57

    Questi non vide mai l’ultima sera;
    ma per la sua follia le fu sì presso,
    che molto poco tempo a volger era. 60

    Sì com’io dissi, fui mandato ad esso
    per lui campare; e non lì era altra via
    che questa per la quale i’ mi son messo. 63

    Mostrata ho lui tutta la gente ria;
    e ora intendo mostrar quelli spirti
    che purgan sé sotto la tua balìa. 66

    Com’io l’ ho tratto, saria lungo a dirti;
    de l’alto scende virtù che m’aiuta
    conducerlo a vederti e a udirti. 69

    Or ti piaccia gradir la sua venuta:
    libertà va cercando, ch'è sì cara,
    come sa chi per lei vita rifiuta. 72

    Tu ’l sai, ché non ti fu per lei amara
    in Utica la morte, ove lasciasti
    la vesta ch’al gran dì sarà sì chiara. 75

    Non son li editti etterni per noi guasti,
    ché questi vive e Minòs me non lega;
    ma son del cerchio ove son li occhi casti 78

    di Marzia tua, che ’n vista ancor ti priega,
    o santo petto, che per tua la tegni:
    per lo suo amore adunque a noi ti piega. 81

    Lasciane andar per li tuoi sette regni;
    grazie riporterò di te a lei,
    se d’esser mentovato là giù degni". 84

    "Marzïa piacque tanto a li occhi miei
    mentre ch’i’ fu’ di là", diss’elli allora,
    "che quante grazie volse da me, fei. 87

    Or che di là dal mal fiume dimora,
    più muover non mi può, per quella legge
    che fatta fu quando me n’usci’ fora. 90

    Ma se donna del ciel ti move e regge,
    come tu di’, non c’è mestier lusinghe:
    bastisi ben che per lei mi richegge. 93

    Va dunque, e fa che tu costui ricinghe
    d’un giunco schietto e che li lavi ’l viso,
    sì ch’ogne sucidume quindi stinghe; 96

    ché non si converria, l’occhio sorpriso
    d’alcuna nebbia, andar dinanzi al primo
    ministro, ch’è di quei di paradiso. 99

    Questa isoletta intorno ad imo ad imo,
    là giù colà dove la batte l’onda,
    porta di giunchi sovra ’l molle limo: 102

    null’altra pianta che facesse fronda
    o indurasse, vi puote aver vita,
    però ch’a le percosse non seconda. 105

    Poscia non sia di qua vostra reddita;
    lo sol vi mosterrà, che surge omai,
    prendere il monte a più lieve salita". 108

    Così sparì; e io sù mi levai
    sanza parlare, e tutto mi ritrassi
    al duca mio, e li occhi a lui drizzai. 111

    El cominciò: "Figliuol, segui i miei passi:
    volgianci in dietro, ché di qua dichina
    questa pianura a’ suoi termini bassi". 114

    L’alba vinceva l’ora mattutina
    che fuggia innanzi, sì che di lontano
    conobbi il tremolar de la marina. 117

    Noi andavam per lo solingo piano
    com’om che torna a la perduta strada,
    che ’nfino ad essa li pare ire in vano. 120

    Quando noi fummo là ’ve la rugiada
    pugna col sole, per essere in parte
    dove, ad orezza, poco si dirada, 123

    ambo le mani in su l’erbetta sparte
    soavemente ’l mio maestro pose:
    ond’io, che fui accorto di sua arte, 126

    porsi ver’ lui le guance lagrimose;
    ivi mi fece tutto discoverto
    quel color che l’inferno mi nascose. 129

    Venimmo poi in sul lito diserto,
    che mai non vide navicar sue acque
    omo, che di tornar sia poscia esperto. 132

    Quivi mi cinse sì com’altrui piacque:
    oh maraviglia! ché qual elli scelse
    l’umile pianta, cotal si rinacque 135

    subitamente là onde l’avelse.



    Dante e Virgilio ormai sono usciti dall'Inferno ("quindi uscimmo a riveder le stelle"), e inizia la cantica del Purgatorio. L'atmosfera che si respira è molto diversa, poiché nel Purgatorio si aspira alla purificazione e al Paradiso. Inizia dunque il primo canto, un prologo.Il protagonista è Catone, un personaggio ambiguo: nonostante sia un pagano che si è suicidato a Utica, è guardiano del Purgatorio. Console romano anti-cesariano (si schiera con Pompeo durante la guerra civile), crede nei valori della libertà della Repubblica, e preferisce uccidersi piuttosto che tradire i suoi ideali. Fino alla nascita di Cristo, Catone si trovava nel Limbo. Dante ha quindi molta stima verso di lui.

    Uscito dall'Inferno, Dante avvisa che la nave della sua poesia (del suo ingegno) solcherà un mare più degno e dunque i toni del canto si alzeranno; per questo motivo, chiede aiuto alle muse, soprattutto a Calliope. A quest'ultima chiede infatti di innalzare la sua poesia fino al proprio livello, ossia a quando Calliope cantava contro le piche (episodio delle metamorfosi di Ovidio:tre principesse greche, sorelle, sfidarono Calliope in una gara di poesia, e quando persero venne trasformate in tre piche, o gazze, che hanno un verso gracchiante sgradevole).
    Descrizione dantesca. L'atmosfera, come detto in precedenza, è molto diversa da quella infernale: infatti Dante, volgendosi verso oriente, vede un cielo di color zaffiro. Vede il pianete Venere, così luminosa che oscura la costellazione dei pesci, e quindi sta quasi per venire l'alba. Dante vede poi 4 stelle, forse la croce del Sud, ma è difficile visto che è nell'altro emisfero. Probabilmente le 4 stelle rappresentano le 4 virtù cardinali: giustizia fortezza prudenza e temperanza. Dante dice che sono molto luminose, tanto che il nostro emisfero è "orfano" di queste stelle, intendendo che le virtù cardinali, nel suo mondo, erano rare.Dante, poi, vede all'improvviso affianco a sè un vecchio con i capelli lunghi e la barba grigi, che incute rispetto e timore, e che sembra un patriarca. A questo punto Virgilio costringe Dante a inginocchiarsi, e Catone inizia a rimproverarli, avendoli visti uscire dall'Inferno. Virgilio prende parola e spiega dunque la situazione, dicendo che devono visitare il Purgatorio. Aggiunge che si trova dove si trova Marzia, e dicendogli che le riporterà buone parole a lei. Catone dice che se è volontà divina, e se una donna beata è scesa dal Paradiso per salvare Dante, li farà passare, e chiede di riportare buone parole a lei e non alla moglie. Catone indica quindi di seguire la strada del sole.Dice poi che Dante dovrà pulirsi il volto dalla fuliggine infernale per poter presentarsi agli angeli. Aggiunge che troverà dei giunchi, e che dovrà metterseli addosso, poiché il giunco è una pianta povera che cresce anche nella corrente del mare: è simbolo di umiltà. Dante e Virgilio seguono dunque la strada indicata, e arrivano in un prato bagnato dalla rugiada, e Virgilio si bagna le mani e pulisce il volto di Dante.Arrivano ai giunchi, e il Maestro glielo lega in vita, e nel punto strappato ne ricresce subito un'altra.

    Se nell’Inferno non vi è nessun proemio, questo è presente nelle cantiche del Purgatorio e del Paradiso. Il proemio è formato dalla protasi e dall’invocazione alla musa, che qui è allegoricamente cristianizzata. Tuttavia non troviamo alcuna una dedica, forse presente in una epistola a Cangrande della Scala, Signore di Verona (Paradiso), ma non sappiamo se sia autentica. A sostegno della dedica a Cangrande, notiamo che egli nel 1300 aveva 9 anni, numero importante nella numerologia dantesca.

    Il Canto I del Purgatorio inizia con una metafora: l’ingegno è visto come una imbarcazione, e il suo viaggio è per mare; questo, se nell’Inferno è crudele e spietato, acquista più degnità nel Purgatorio. Le anime qui destinate, si raccolgono dopo la morte alla foce del Tevere, dove attendono che l’angelo nocchiero le porti all’isola dove sorge la montagna. È interessante notare che nel VI libro dell’Eneide, Enea scende agli Inferi (catabasi) proprio prima di arrivare alla foce del Tevere: spesso Dante riprende e si ispira a Virgilio.
    L’angelo nocchiero carica le anime nella sua imbarcazione a seconda della volontà divina, senza quindi andare necessariamente in ordine cronologico post-mortem. L’angelo, prima dello sbarco, benedice le anime, dimostrandosi così molto diverso dal Caronte dell’Inferno, che brandiva il suo remo colpendo i dannati.
    Nei primi IX canti del Purgatorio si tratta dell’Antipurgatorio. In questo luogo le anime devono restare per tutto il tempo che hanno impiegato a pentirsi, ma gli scomunicati devono rimanervi per un tempo 30 volte maggiore. Un esempio di uno scomunicato che ritroviamo all’interno della Commedia è Manfredi d’Altavilla, figlio di Federico II; per un periodo è capo della fazione dei ghibellini, e muore nella battaglia di Benevento contro gli angioini nel 1266.
    Nel Canto I del Purgatorio vi è una ripresa dalle metamorfosi di Ovidio; le piche sono infatti trasformate in gazze. Vi è poi una descrizione del cielo, che Dante non vedeva da molto tempo,dato che è rimasto a lungo nell’oscurità infernale. Il primo personaggio che appare è Catone l’Uticense, che si suicida per la libertà, diventando in un certo senso figura christi. Catone ha le 4 virtù, di cui già si parla nel Canto XY dell’Inferno. L’incontro con questo personaggio storico è simile a un allegorico rito battesimale: Catone è il sacerdote, Virgilio il padrino, e Dante l’uomo da purificare, dunque si inginocchia.

    Edited by Orphée D'Amblanc - 1/2/2017, 22:43
     
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