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Statuaria Greca: alla ricerca della Bellezza - Classicismo ed Ellenismo

Le caratteristiche, le opere e gli autori delle sculture più belle al mondo: classicismo ed ellenismo.

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    Statuaria Greca - Classicismo ed Ellenismo

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    L’arte, in tutti i periodi storici, va considerata come una rappresentante della società e del tempo in cui essa si esprime.
    Guerre, stabilità economica e politica o epidemie sono sempre state di enorme influenza nell’arte, intesa come pittura, scultura, letteratura, musica e persino architettura. Vediamo quindi che le Guerre Persiane influenzarono in modo fondamentale tutto il mondo greco. Sarà con le numerose vittorie greche che si sviluppò la fondamentale statuaria, culla dell’arte occidentale (e non soltanto).
    Infatti tra il VI secolo a.C. e la fine di questa colossale guerra, la statuaria greca cambiò sempre di più, tenendo alla ricerca della bellezza ideale e della perfetta proporzione tra le parti del corpo. Prima del raggiungimento di questa perfezione espressa con lo stile Classico, vediamo lo stile Severo.
    Il nome indica principalmente la scomparsa del sorriso che invece era assai presente nelle statue arcaiche.
    Lo stile severo è caratterizzato principalmente da:
    • Testa abbastanza piccola, quasi sferica, dove occhi e bocca si poggiano in una superficie curvilinea
    • Bocca più piccola e carnosa
    • Palpebre più consistenti
    • Ciocche morbide e più realistiche
    • Massa muscolare distribuita armoniosamente
    • Gambe più lunghe che danno impressione di essere slanciate

    In questo modo la statua non ha più quei caratteri statici che contraddistinguono la statuaria arcaica, ma pare assolutamente più vitale.
    Con questo stile vediamo alcune importantissime statue, come il celebre Efebo di Kritos, composto attorno al 480 a.C. e rinvenuto sottoterra. Esso è assolutamente particolare poiché ha la testa ruotata e il busto leggermente spostato.
    Vediamo poi lo Zeus, o Poseidon risalente circa al 460 a.C. e fatto interamente di bronzo, e rappresenta il dio nell’atto di lanciare un fulmine o un tridente. Le gambe divaricate e le braccia aperte danno una forma quasi quadrata all’opera, che però dalle espressioni e dalla muscolatura appare molto statica.
    Ancora è stato ritrovato l’Auriga di Delfi , un bronzo realizzato nel 475 a.C. che ha un’evoluzione nel realismo delle drappi delle vesti e nella posizione ruotata. Esso faceva parte di un complesso statuario ben più grande.
    Tuttavia le opere più famose sono certamente i Bronzi di Riace, ritrovati nel 1972 nel Mar Ionio e distinti simbolicamente in Bronzo A e Bronzo B. Il primo, composto attorno alla metà del V secolo a.C., presenta spalle larghe, con busto eretto e tirato indietro, con base d’appoggio nella gamba destra, e testa decisamente ruotata. E’ sicuramente il primo passo verso la perfezione tra le parti e la bellezza ideale.
    Il bronzo B è fatto da un differente maestro, probabilmente composto durante la fine del V secolo.
    Un importantissimo autore pre-classico fu sicuramente Mirone di Eleutère. Egli effettua ricerche sul movimento anziché sulla stasi: un tipico esempio ne è il Discobolo, realizzato in bronzo tra il 460 e il 450 a.C.
    Oggi ne possiamo osservare solamente le copie marmoree romane, da cui vediamo che la statua è colta nell’attimo prima del lancio e sicuramente rappresenta una enorme innovazione.
    Sempre nelle copie marmoree romane tratte dagli originali in bronzo, possiamo osservare Athena e Marsia, statua dal carattere anche mitologico e dal significato istruttivo per la religione greca. Atena si inorridisce guardando nell’acqua il suo volto affaticato dal soffiare in un flauto a due canne, e getta a terra lo strumento, maledendo chi lo avrebbe raccolto. Marsia pagherà poi con la vita per la superbia di aver sfidato Apollo, dio delle arti, in una gara musicale.
    Nella statua Marsia si avvicina a passo di ballo nudo, mentre Atena, vestita con i realistici drappi delle vesti, è decisamente più composta e divina in aspetto guarda con disprezzo il mortale.
    Petronio affermava che Mirone aveva racchiuso nel bronzo il respiro degli uomini e degli animali.
    Ma quando si arrivò al periodo classico?
    Con Policleto di Argo si raggiunge finalmente l’equilibrio, la proporzione, la bellezza. Egli fu un attivo bronzista dal 465 a.C. al 417 a.C. e riuscì a conferire alle sue statue sia il senso della stasi sia del moto.
    Da Policleto, perciò, comincia l’arte Classica. Egli non osservò le “leggi” scultoree che vi erano nelle botteghe, ma cominciò con l’osservare la perfezione della natura, cercando li la bellezza. Misurò quindi le parti del corpo degli atleti ateniesi, e da li ottenne delle misure ideali. Queste misure si avvicinano molto a quelle reali, e tutt’ora sono considerate come fulcro della bellezza nella società moderna, a quasi 2500 anni di distanza. Da queste misurazioni, Policleto scrisse il celebre Canone (da kanon, regola), di cui sono arrivati a noi solamente tre frammenti. In questo trattato egli stabiliva le proporzioni ideali tra le parti, la simmetria e i rapporti d’insieme nelle opere. La testa doveva essere 1/8 del corpo, da ripetersi tre volte nel busto e quattro nelle gambe. La sua opera, il Doriforo, era chiamata appunto canone poiché racchiudeva tutti gli elementi scritti in esso. Era una sorta di rappresentanza delle sue teorie.
    Esso venne creato attorno al 445 a.C., e aveva la struttura tipica del Chiasmo, ossia parti in tensione e in riposo a “X” (tensione e riposo in gamba destra e braccio sinistro; gamba sinistra e braccio destro).

    Terminate le Guerre Persiane, che con difficoltà avevano vinto i greci, Atene era risorta come vincitrice ed era in procinto di diventare egemone su tutta la Grecia. Ciò aveva naturalmente riacceso le vecchie rivalità con la polis di Sparta. Queste tensioni portarono alla nascita della Guerra del Peloponneso, che vedono scontrarsi anche numerose altre polis. Naturalmente una guerra dalla durata di 27 anni, cominciata nel 431 a.C. ha influenzato moltissimo l’arte greca, che prima splendeva con Policleto e la perfetta bellezza. Come se non bastasse vi furono anche epidemie di peste, principalmente nella città di Atene.
    Questi conflitti, anche con i persiani in età precedente, provocano una grande sfiducia negli dei, che non ascoltano più le loro richieste, lasciando gli uomini a se stessi. Un grande rappresentante di questo tempo è sicuramente Prassitele. La particolarità di questo artista è che diversamente dai suoi predecessori, come Policleto o Mirone, lui al bronzo preferiva il marmo, che dopo faceva dipingere con tinte colorate dal pittore Nicia. Su di lui Siculo scrive “Mescolò in modo eccellente i sentimenti dell’animo alla natura marmorea dei suoi lavori”.
    Egli, tra il 364-363 a.C., scolpisce una celebre statua: Afrodite Cnidia. Il nome Cnidia deriva dagli abitanti di Cnido, che acquistarono il lavoro. La dea, collocata nel naos di un tempio monoptero, è raffigurata poco prima di farsi il bagno rituale, nuda. In questo modo vi è una umiliazione simbolica che ancora una volta ci aiuta a comprendere la situazione sociale e religiosa che i greci vivevano.
    Ancora, Prassitele compone opere molto famose, come Apollo sauroctonos, del 360 a.C. Quest’opera avvicina nuovamente la figura della divinità all’uomo, raffigurando un giovane Apollo che sta sadicamente giocando con una lucertola (la sta uccidendo). Ciò umilia ancora la figura degli dei greci, che vedono perdere la loro importanza e acquistano grande sfiducia da parte del popolo.
    Grande opera di Prassitele fu infine Hermes con Dionisio bambino (in figura, 330-340 a.C.), con cui creò un nuovo punto di osservazione. Se infatti prima Afrodite Cnidia coinvolgeva lo spettatore (l’atto di coprirsi era proprio di fronte a chi osserva), e Apollo sauroctonos sembrava quasi immerso in un suo mondo, ora la statua Hermes con Dioniso cambia radicalmente: l’osservatore ha ruolo passivo di contemplazione, ed entra negli sguardi e nell’atmosfera divina, fuggendo dalla realtà. Ma dove sta l’avvicinamento degli dei agli uomini? Nel fatto che Ermes e Dionisio sono due divinità che presentano passioni umane, come i sogni, il vino, la giovinezza. Prassitele, dal punto di vista tecnico, crea una statua dall’enorme morbidezza: il marmo diventa roseo corpo.
    Tra i grandi scultori greci abbiamo certamente Skopas di Paro. Egli nacque per l’appunto a Paro, nelle isole Cicladi, e riprese la ricerca formale di Prassitele. La statua di Pothos impersona una divinità minore del sentimento amoroso. Essa è totalmente inclinata su un lato, quasi l’emozione non le permetta di stare in piedi. Gli occhi, infossati, hanno un aspetto sognante e profondo, quasi vicino alla drammaticità. Particolare interessante sono anche le gambe incrociate, e la presenza simbolica di un’oca vicino al sostegno della statua.
    La passione che esprime nella sua arte si manifesta moltissimo anche con la Menade Danzante di Dresda, composta attorno al 335-330 a.C., di cui ci sono arrivate le copie romane. La danza sfrenata conferisce un effetto passionale e di moto che colpisce chiunque guardi in modo diretto e potente. L’elemento di erotismo viene sottolineato dalla veste che scopre una parte del corpo, come da rituale dionisiaco.
    Tra i più importanti artisti greci, continuiamo con Lisippo, nato attorno al 390 a.C. e attivo nella corte dell’allora sedicenne Alessandro Magno. Divenne presto il suo scultore preferito, e disse che si ispirava alla natura e non ad altri artisti. Implicitamente significa che Lisippo non prende più come spunto il Canone di Policleto, ma solamente ciò che egli vede, senza andare a cercare la perfezione e la bellezza ideale. Ciò significa infine che anche un atleta considerato brutto poteva essere preso in considerazione nell’arte: è un concetto del tutto rivoluzionario.
    Celebre è l'Apoxyòmenos, composto nel 320 a.C. circa, in cui l’atleta non è né un vincitore né nell’atto della gara: si sta semplicemente togliendo l’olio e il sudore. Sicuramente l’innovazione della Statuaria Greca prosegue oltre ai concetti di bellezza ideale, che comunque rimarranno validi per molti secoli.
    Introduzione all’ellenismo.
    Le conquiste di Alessandro Magno hanno portato a una diffusione della cultura greca. Alle stesso tempo però, questa si è arricchita ereditando i valori dei popoli sottomessi. L’ellenismo è quindi l’ellenizzazione dei territori conquistati.
    Importantissimo è anche il cambio di committente che avviene in questo periodo. Se precedentemente le opere arricchivano i valori della polis, ora i committenti sono uomini ricchi e potenti, tali che l’arte si concentra nella celebrazione della singolarità. Gli artisti cominciano inoltre a viaggiare e a subire influenze da tutto il mondo ellenistico, che ha ampliato i propri confini creando un vero e proprio cosmopolitismo.
    Pergamo fu uno dei centri propulsori dell’arte ellenistica, dove gli Attalidi, uomini colti e illuminati, diedero origine a una biblioteca che faceva concorrenza alle altre celebri, come quella di Alessandria d’Egitto.
    Lo stile era molto forte ed emotivo (pathos in greco era in opposizione al logos), che influenzò moltissimo tutta l’arte antica, romana compresa. Proprio a Pergamo, nel decennio 166-156 a.C., venne edificato l’importantissimo altare dedicato a Zeus Soter (salvatore) e Athena Nikephoros (portatrice di vittoria). Nel corso di questa colossale opera, voluta da Eumene II, giunse al trono Attalo II, suo fratello. Quest’opera celebrava la guerra contro i Galati, terminata appunto con la vittoria di Pergamo del 166 a.C.
    L’altare fu costruito sui terrazzamenti dell’Acropoli, a un’altezza di circa 330 metri. È di base quadrangolare, in gran parte occupata da un’ampia gradinata. Le colonne ioniche creano anche un grande porticato.
    Curiosa è la divisione in due fregi: vi è il Piccolo Fregio (continuo) lungo le pareti del porticato interno, e il Grande Fregio composto da complessi scultorei. Il primo racconta le storie del figlio di Ercole, Telefo; il secondo rappresenta scene di gigantomachia dominato dalle figure di Zeus e Atena.
    Ipotesi dell’autore, con ovvi supervisori in suo aiuto, della grande opera di Pergamo ricade sulla figura di Firomaco.
    Sempre a Pergamo, Epigono compone due gruppi scultorei da prendere in esame come culmine della spinta emotiva e drammatica della statuaria ellenistica. Dopo le prime vittorie di Attalo I, l’artista compone il Galata Morente e il Galata Suicida, risalenti circa al 220 a.C.
    Il primo rappresenta un gallico morente sopra al suo scudo, che mantiene comunque un viso composto, forse in segno di resistenza. Oserei dire che ben più drammatico e in alcuni aspetti significativo è il Galata Suicida, colto nell’atto di uccidersi assieme alla compagna. La fierezza e la gloria mostrano una scena tristemente potente, in cui vediamo il conficcarsi della spada nel corpo robusto e in perfetto equilibrio dell’uomo, in contrapposizione con la donna, che già si abbandona tristemente alla morte. Nonostante ciò, l’uomo la sorregge e si uccide comunque con viso rivolto verso l’alto, ampliamente simbolico.
    Questi episodi non devono essere però confusi come pietà nei confronti dei popoli ma, anzi, mostrano come Attalo I sia riuscito a vincere dei popoli così fieri anche nel momento estremo della morte.
    Altro centro importantissimo per la statuaria ellenistica è Rodi. Da qui provengono il complesso del Laocoonte e del Supplizio di Dirce.

    Edited by Darknight - 4/5/2016, 19:31
     
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